Mi chiamo Andrea e sono sempre stato affascinato dall’ipocrisia delle persone. È ammirevole con quanta disincantata maestria la vita, come ha avuto inizio, debba terminare: facile come ridestarsi da un sogno il cui aspetto ci appare come tale, ma il cui effetto fa le veci di un incubo. Sono un ragazzo che, nonostante tenti di soddisfare le vicissitudini sociali che l’uomo si è prefissato per diminuire il tempo trascorso ad interrogarsi sull’incom- prensibile pesantezza dell’Essere, non riesce a separarsi da questa stasi di futile insoddisfazione. Badate bene, non significa che non riesco ad assaporare ciò che ho con la giusta riconoscenza. Anzi, direi che faccio sempre i salti mortali per separare i due diversi stati d’animo. Il mio è un arrancare nel vuoto in quella parentesi eterea fra due impegni concreti.