Ho sempre pensato che la poesia non fosse mentale ma un piatto da mangiare. Va assaggiata con i sensi. Presa a morsi più che letta. Mangiata dopo essere stata un po’ nella brace. Tutto inizia dalle mani. Il macellaio usa coltello e lama. Incide e spacca. Forse cerca la verità nelle fibre e nelle vene. Il calzolaio usa tomaia e filo. Ricerca percorsi e aggiusta il tacco per mettere all’altezza della vita le sue storie. Il contadino impara presto il linguaggio delle piante e il dialetto dei semini. Usa le mani come un chirurgo quando le mette alla gola di un innesto, per rassicurarlo a sopportare il dolore che il taglio gli procura. Ho la sensazione che un cerchio sia concluso. Come partigiano sabino, dalle retrovie della civiltà contadina lancio segnali e provocazioni di resistenza. Ripercorro il territorio, cammino, attraverso i paesi calpestando loro il cuore. Desidero che anche loro abbiano la voglia, il desiderio, le emozioni, i sentimenti come gli uomini. La poesia è qui. Basta allungare le braccia e coglierla.