In questo scritto di poesie di Don Marino Ducci “Stille d’infinito”, il tutto dell’infinito si riflette nel nulla dell’uomo : una vertigine cosmica che smarrisce e suscita un più ampio sguardo: una vista interiore che riflette il mistero dell’uomo nel cosmo ma che dice anche di un nulla cosciente ove sembra culminare la coincidenza del minimo e del massimo, un’avventura cosmo-teandrica che coinvolge nell’ampio seno della natura Dio, l’uomo, la traccia di un Dio che sembra sempre celato e perduto e l’errare dell’uomo in cerca della sua misura. Non solo il cosmo è uno, infinito, nell’impeto maestoso del suo dinamismo e delle sue forze vive, lo stesso uomo porta dentro di sé tale coincidenza di nulla e tutto, di vuoto che si esplica come traccia appena abbozzata di un Dio atteso e cercato, di un Dio tangibile negli spazi del cuore, vivente e celato nel dramma della miseria dell’uomo.