La silloge “Intimo agguato”, dell’esordiente Rossella Dettori, si presenta come il percorso di crescita di un’anima rabbiosa e fanciullesca. È una raccolta di testi di tono sentimentale ed intimistico. Sogni, visioni, scontri con la dura realtà la caratterizzano. È la continua ricerca della magia della vita, di una personalissima esperienza del mondo, che si confronta, talvolta, con i ricordi dell’infanzia.
RESPONSABILITA’ DEL FIORIRE Recensione al libro “Intimo Agguato” di Rossella Dettori Mi vien voglia di scrivere subito. “Non lasciatevi sfuggire questo libro di poesie”. Ma, a meno di non essere lettori-divoratori (lettrici-divoratrici) di libri, la prima domanda che vi porreste sarebbe “perché dovrei leggere queste poesie”. Credo che nessuno abbia mai capito se una recensione ha lo scopo di esaltare il libro affinché il lettore lo legga o quello di esaltare il lettore che ha già letto il libro. E dico “esaltare” nel senso di fare “uscire fuori di testa” il lettore per la gioia e il piacere di scoprire che le sue intuizioni erano esatte in quanto hanno trovato conferma in altri, oppure esaltare il libro nel gioco entusiasmante di far emergere una storia che abbia come protagonisti l’autore nella sua fisicità e l’entità fisica delle poesie che costituiscono la trama rivelatrice dell’essenza umana. Essendo io un vecchio saggio che ama camminare nell’equilibrio e della verità ama tutte le componenti che concorrono a formarla, scelgo la strada dell’esaltare i due protagonisti di questa storia che si intitola “Intimo agguato”. Che poi, sono certo, gioverà anche a coloro che avendo letto il libro torneranno a scoprirne le gioie provate. Marisa Bulgheroni, in quella pregevole presentazione delle opere della Dickinson, edita da Einaudi nel 1997, scrive che “Emily è, con la teatrale aggiunta di un sepalo o di un petalo, «una rosa », o riflette sulla profonda responsabilità del fiorire, che comporta una serie di operazioni precise, quali «colmare il bocciolo – combattere il verme / [...] regolare il calore – eludere il vento - / sfuggire all’ape.... ».” La medesima “profonda responsabilità del fiorire” appartiene anche a Rossella Dettori, che, nel suo libro di poesie “Intimo agguato”, dopo aver dichiarato “non posso che essere amara”, “sono qui meditativa, ferita senza lacrime”, assolve a quella responsabilità compiendo la medesima “serie di operazioni precise”, svolte tuttavia con strumenti assolutamente diversi da quelli della Dickinson: “vi chiedete chi sono e io cambio / argomento, sfuggo alle / rughe sopracciliari / [...] Tutto ciò che conosco è un segreto / bouquet di fiori freschi e secchi ”. Le azioni che intraprende Rossella sono “incostanti promesse / [...]/ le mie cieche pretese, la mia fuga / dall'incapace anonimato” (Sogno ingrato), azioni che nel desiderio di renderle efficaci, devono essere ripetute più e più volte, anche se con esiti insoddisfacenti : “E più insisto,/più ridicola e solitaria/appare ogni mia speranza/di ritorno ai nostri vecchi fasti” (Solchi) sino a giungere a considerare di ritentare “daccapo il vecchio / tempo, se solo il Tempo / ce lo concedesse". Fino all’ultima confessione: “Come il mio cuore si espanda / o chiuda, niente affatto / so darne ragione. // Ma rimetto il giudizio ad altri, / se per voi è semplice / un assenso o un rifiuto” (I buoni siete voi). “Operazioni precise” che Rossella porta a termine non senza contrasti, non senza correzioni e rincrescimenti, nel continuo desiderio di essere amata o semplicemente accettata senza scarti indietro, senza ricatti volti a umiliare o etichettare. Ma non è facile evitarlo. E’ giocoforza allora passare al contrattacco, assumere il ruolo di giudice, interrogare, condannare, assolvere, allontanare. Ma ciò significa schiudere le forze del mondo che ci circonda, forzarlo al grido. Significa amare tutto ciò che ci sta intorno nella sua presenza. Questo breve biglietto di presentazione della Dettori ci consente di rappresentare nella nostra mente (o immaginazione?) la fisionomia poetica non solo intima del personaggio-autrice che abbiamo davanti. Ma ben altri personaggi dobbiamo portare alla luce, se davvero vogliamo conoscerla e conoscerci, se davvero questo rapido accenno alle sue contraddizioni interiori ce la fanno sentire umanamente vicina, umanamente e poeticamente alla ricerca di una verità, di un sé che ha bisogno di essere ricostruito momento per momento nel succedersi dei mutamenti della realtà esterna e per riflesso di quella interiore. Altro dobbiamo conoscere, addentrarci nel romanzo fitto di avventure che le poesie ricostruiscono come brevi capitoli dedicati ai personaggi. Io qui potrei, come si è soliti per tutti i romanzi, raccontarvi la trama di una storia umana attraverso brevi cenni che iniziano da narrazioni leggermente ironiche ("disegnavo a quattro anni, / sicura della mia inventiva, / una sorella bionda, / complice e solare. / In concorrenza, /il Creatore progettava / un castano fratello, / allegro usurpatore."), sino alla conclusione momentanea con cui l’autrice sembra porgerci il suo “a presto”: “Lasciai andare via la poesia, / per suo amore. Ma lei, / riamandomi tornò da me. / E mi rese verde atollo /in semi-onirica visione.” E tra questi due punti iniziali e finali (come di ogni storia che possa dirsi tale) si intreccia un’autobiografia poetica fatta di amicizia e di amore, di dialoghi con gli interlocutori, di domande e risposte, di fughe e ritorni, di nascondimenti e svelamenti. Ma ciascuno di voi mi rinfaccerebbe che solo leggendo le poesie che Rossella ha raccolto in “Intimo agguato”, e non lasciando che altri – quale io potrei essere – ce le raccontino, possiamo renderci consapevoli dell’aria che respiriamo, del sangue che scorre nelle vene, dei necessari inganni che ci creiamo per sopravvivere e giungere alle nostre mete. Vi dirò allora semplicemente che le poesie di Rossella sono, anche quando assume le vesti dell’inquisitore e del giudice, poesia di offerta, offerta di amore al cui orizzonte si profilano, come non effimeri punti culturali di riferimento, personaggi che hanno ben rappresentato questa esigenza: Sylvia Plath, la già citata Emily Dickinson, Grazia Deledda, Evtusenko, e certe venature di Elio Vittorini attraversate dalla sua “capacità di rimettere tutto in questione, caso per caso, problema per problema” (come lui stesso scrive nel suo Diario in pubblico). Non so, tenuto conto dei versi sin qui riportati, se è necessario chiederci quale sia lo stile della Dettori. Qui mi viene in aiuto Mario Luzi quando afferma che il poeta nella sua perenne “fase di autoidentificazione” usa “un linguaggio a una certa temperatura, a un certo grado di significazione” che è un grido di violenza e tenerezza, che assorda e investe metafora e corpo, corpo della metafora e metafora del corpo: Non spaventatevi È solo la mia anima, solo una lampada e l’ombra sul soffitto Nessuna paura L’orrore mi accompagna e quando appare non si cura di voi Niente paura Vi farò del male Vi avvelenerò. Perché voglio, e sento che devo. ................................Marcello Comitini
Complimenti Rossella!!!!